In Abruzzo si usava tramandare, all’interno della famiglia che si allargava, la cosiddetta “mamma dell’aceto” (il mycoderma aceti, una sostanza composta da una forma di cellulosa e da batteri acidi dell’aceto che si sviluppa dalla fermentazione dei liquidi alcoolici e che, con l’ossigeno, trasforma l’alcool in acido d’aceto).
Gli sposi portavano nella nuova casa il loro pezzetto torbido, gelatinoso e di colore scuro da cui potevano ricavare l’aceto, immergendolo nel vino.
L’aceto che usiamo al D.one si genera da una “mamma” risalente al ‘700, donata alla famiglia di Nuccia da una parente monaca di clausura vissuta nel monastero di Atri.